Siccità

Siccità, in Italia viene riutilizzato solamente il 4% delle acque reflue

Ogni anno l'Italia riutilizza 200 milioni di metri cubi di acque depurate, un terzo della Spagna, pur avendo impianti all'avanguardia. Quest’anno entra in vigore il nuovo regolamento europeo che spinge il riutilizzo ma ci sono ancora nodi irrisolti come chi pagherà gli extra-costi tra gestori degli impianti, cittadini e agricoltori.

In qualche zona del Paese, soprattutto al Nord, già da anni si depurano gli scarichi che finiscono in fognatura, in modo da renderli compatibili con l’irrigazione dei campi o con scopi industriali. Ma la situazione attuale di siccità che mette in ginocchio molti agricoltori probabilmente darà una spinta al riutilizzo delle acque reflue trattate. Tanto più che nel 2020 l’Unione Europea ha adottato un regolamento per il riutilizzo in agricoltura, stabilendo i livelli minimi di qualità da rispettare.

Il regolamento dovrà essere applicato nei vari Stati membri a partire da giugno 2023, ma a pochi mesi dal via restano ancora diversi nodi da risolvere, come chi si sobbarcherà gli extra-costi per rendere l’acqua in uscita dai depuratori adatta a far crescere frutta e verdura.

Recuperare acque reflue per scopi agricoli o industriali in Italia non è una novità. Un decreto ministeriale stabilisce i limiti da rispettare sin dal 2003, imponendo alcuni parametri (ad esempio su indicatori di contaminanti patogeni) affini a quelli della classe di più alta qualità prevista oggi dal regolamento europeo, che definisce classi diverse a seconda del tipo di coltura e del tipo di irrigazione.

Non siamo il paese europeo che fa meglio in termini di quantità di reflui riutilizzati, ma abbiamo degli impianti che sono stati pionieristici. Come a Milano, dove i depuratori di Nosedo e San Rocco forniscono 90 milioni di metri cubi l’anno di acque depurate da utilizzare a fini irrigui nei campi intorno al capoluogo lombardo. E come gli impianti in provincia di Livorno che forniscono fino a 4 milioni di metri cubi di acqua depurata da utilizzare nell’impianto del gruppo Solvay di Rosignano.

Secondo una stima fatta nel 2020 nel nostro Paese vengono in tutto destinati al riutilizzo diretto e indiretto, tra usi irriguo e industriale circa 200 milioni di metri cubi di acque depurate. L’ultima relazione annuale di Arera (Autorità di Regolazione per Energia Reti e Ambiente) parla di un 23% dei reflui potenzialmente destinabili al riuso, ma ne viene effettivamente riutilizzato solo il 4%, perlopiù nelle regioni del Nord e soprattutto a fini agricoli. In particolare il dato fa riferimento al riuso diretto, quello che verrà normato dal regolamento Europeo.

Numeri leggermente diversi, ma che non cambiano la sostanza delle cose, li ha dati di recente Utilitalia, la federazione delle imprese idriche, ambientali ed energetiche. Nell’indagine “Il riutilizzo delle acque reflue in Italia”, presentata l’11 luglio 2022 a Napoli, è stato stimato che nel nostro Paese esistono 79 impianti in grado di fornire acque depurate per il riuso, con una potenzialità complessiva, tra riuso diretto e indiretto, di 475 milioni di metri cubi all’anno, pari al 5% dei nove miliardi di metri cubi in uscita dai depuratori.

In particolare, 37 impianti forniscono acqua a uso irriguo indiretto, dieci a uso irriguo diretto, nove per scopi industriali o altro, mentre per 23 impianti non è stata definita una specifica utilizzazione finale, “a dimostrazione – notano da Utilitalia – delle incertezze e dei dubbi ancora presenti a livello di utilizzatori finali potenziali”. Tra i fattori che sinora hanno limitato l’utilizzo diretto delle acque reflue risulta che per raggiungere la depurazione richiesta sono spesso necessarie integrazioni degli impianti esistenti, soprattutto potenziando le sezioni di filtrazione finale e disinfezione, il cosiddetto “Trattamento Terziario”.

La situazione italiana si inserisce in un contesto Europeo dove esistono altri Paesi, soprattutto sul Mediterraneo, che si sono dotati nel tempo di misure sul riuso, come Spagna e Francia, che secondo i dati dell’Agenzia Europea dell’Ambiente riutilizzano rispettivamente circa 600 e 400 milioni di metri cubi di acque depurate all’anno, un dato in questo caso da confrontare con i meno di 100 milioni di metri cubi attribuiti dall’agenzia all’Italia come riuso diretto, quindi più di noi. E come Cipro, dove viene riutilizzata quasi tutta l’acqua proveniente da depurazione.

Secondo alcuni studi recenti molto si può ancora fare: il riutilizzo potrebbe coprire il 20% della domanda irrigua in Spagna e Portogallo, e addirittura il 45% in Italia e Francia.
L’Unione Europea ha quindi adottato un regolamento ad hoc, in modo che il riutilizzo delle acque reflue si affianchi ad altri interventi, come l’aumento della capacità di accumulo degli invasi e l’efficientamento dei sistemi irrigui. Tutte misure necessarie a contrastare l’erosione delle risorse idriche causata da pressione antropica e cambiamenti climatici, che hanno reso sempre più frequenti i periodi di siccità come quello in corso.

Il regolamento ha come obiettivo anche quello di creare regole comuni in modo da rimuovere gli ostacoli alla libera circolazione dei prodotti agricoli irrigati con acque trattate. E invita gli stati membri a condurre campagne di comunicazione e sensibilizzazione per incentivare l’uso in agricoltura di acqua di recupero che una volta depurata nel modo opportuno, potrebbe essere utilizzata anche a fini potabili, come del resto accade in alcuni paesi, tra cui Stati Uniti e Israele.

Inoltre bisogna considerare che il nostro Paese non sempre ha brillato in tema di depurazione: negli ultimi anni Il trattamento delle acque reflue è migliorato in Europa, ma l’Italia è molto sotto la media Ue. In Italia solo il 56% delle acque reflue urbane viene trattato secondo la direttiva Ue, in Europa il 76% e non a caso tutt’oggi a livello europeo sono state aperte già quattro procedure di infrazione a carico dell’Italia. La siccità si combatte oggi con il riuso e riutilizzo dell’acqua in uscita dagli impianti di depurazione: per aumentare il riuso delle acque depurate occorrono importanti politiche di investimento che sono il seguito di una necessaria maggiore sensibilità del mondo politico a questa soluzione tecnica, iniziando dallo snellimento delle procedure burocratiche per tutta la filiera del riuso e riutilizzo.

Abbiamo oggi tutti gli strumenti per risolvere il problema, dobbiamo solo decidere di usarli al meglio.